Due concetti importanti ruotano intorno alla scelta
personale di genere: binarismo e fluidità.
Tutti coloro che si sono posti il problema di capire quale
sia realmente il genere di appartenenza hanno individuato sicuramente i due
opposti, maschile e femminile, ma molti sono concordi nell'affermare che non
sono le sole opzioni disponibili, ma che, anzi, esse sono praticamente
infinite, come porre i due estremi maschile/femminile su un segmento e considerare
tutti gli infiniti punti che li uniscono. Considerando inoltre che c'è chi non
si identifica né con un estremo, né con l'altro e neanche con le possibilità
intermedie, quindi non solo è al di fuori del binarismo maschio/femmina, ma
completamente al di la di queste definizioni non ritrovando in esse nulla che
possa descrivere la loro identità di genere. Quindi possiamo affermare che le
possibili identità di genere sono: maschile, femminile, un numero infinito di
possibilità intermedie tra queste due opzioni, un numero infinito di
possibilità al di la di esse.
Sulla modalità con la quale si sceglie e si mantiene la
propria identità di genere poi, si innesta il concetto di "fluidità"
che porta alla definizione di "genderfluid" per chi ci si riscontri.
Secondo questo concetto i nostri generi sarebbero "fluidi" invece di
essere rigidamente fissati. Nell'arco della vita si occuperanno diverse
"stazioni" di genere spostandosi da una all'altra come normale
evoluzione personale in quanto l'identità di genere non è considerata
necessariamente stabile.
Sposando questi due concetti di binarismo (o non binarismo)
e fluidità (o non fluidità) nascono alcuni equivoci. Chi considera l'identità
di genere come fluida infatti finisce per attribuire questa caratteristica
anche a persone transessuali "accusate" di poter tornare sui propri
passi a piacimento, ignorando il percorso, il più delle volte sofferto e
difficile, che hanno compiuto o stanno compiendo. Secondo questi individui
niente affatto "fluidi" invece il concetto stesso di fluidità nega la
lotta interna che si innesca con l'identità di genere e che è invece molto
tipica delle persone transessuali, binarie e non, che si ritrovano in un vero e
proprio conflitto di genere veicolato per lo più da pressioni esterne che
svolgono un ruolo inibitorio sull'identità.
Purtroppo è molto complicato, per chi non si sia posto
problemi riguardo al proprio genere, capire quale sia l'entità di questo
conflitto interiore. Allo scopo di avvicinarci a tale concetto partiamo
dall'inizio. Al concepimento a chiunque viene attribuito un sesso biologico
che, all'atto della nascita, stabilisce il genere del nascituro,
maschio/femmina (ci sono alcune eccezioni biologiche a questo concetto ma
meriteranno un accurato discorso a parte). Lentamente, e il più delle volte attraverso
il comportamento del resto del mondo nei confronti del bambino, si sviluppa
l'identità di genere di questo individuo che è dipendente da come esso comincia a
percepirsi. A seconda della discrepanza tra come esso si percepisce e come gli
altri lo percepiscono (e quindi lo trattano) si lanciano i primi eventuali semi
del conflitto di identità di genere. Se questa discrepanza è nulla o molto ridotta,
va tutto al meglio, non c'è conflitto di nessun tipo e probabilmente
l'individuo in questione non avrà nessun motivo che lo porterà ad interrogarsi
sul proprio genere, vivrà serenamente senza neanche porsi il problema di cosa
l'identità di genere sia. Se invece la discrepanza è ampia, se il genere
"assegnato" non si adatta alla percezione di se stessi, allora si
ricade in una situazione molto dolorosa della quale si prende sempre maggiore
coscienza crescendo e non è detto che di pari passo si individuino le soluzioni
a quello che innegabilmente viene percepito come un problema.
Molti definiscono questa fase come "cercare disperatamente
di fermare un treno in corsa". Altri come il ritrovarsi in un corpo che
non è il proprio, come se da qualche parte qualcuno avesse fatto un madornale
errore. Non si hanno strumenti per capirsi, spesso si è ostacolati o sminuiti
dai propri stessi familiari o dal proprio partner, si finisce per cumulare
tante domande e nessuna risposta, soprattutto quando l'identità tanto cercata
non ricade nel binarismo dei generi e quindi vengono a mancare anche le
definizioni per lasciarsi capire. Questo e altro, analizzando le storie di
diversi transgender se ne può avere prova, è il conflitto di identità di
genere. E’ davvero una delle cose più complicate da comprendere per chi non ci
sia passato, ma non si può assolutamente negare che di conflitto si tratti e
come tale, può produrre una certa quantità di danni interiori.
Un tipico iter personale può vedere una persona nascere come
donna ed essere allevata come tale, con pressioni sociali più o meno marcate a
seconda del tipo di cultura che la circonda. Al liceo essa potrà cominciare a
sentirsi come se non fosse esattamente una ragazza ma, mancando completamente
tutte le conoscenze e gli strumenti per una corretta comprensione di questa
inadeguatezza, è molto difficile che riesca ad identificarne le cause come
dovute alla propria identità di genere. Nella prima maturità essa potrà
definirsi come genderfluid, oscillando tra una definizione femminile e una
genderqueer, finendo per non sentirsi affatto una donna ma continuando, per
pace mentale, a tollerare che il resto del mondo si appelli a lei con pronomi
femminili, almeno fino a che non sentirà che è arrivato il momento di
ripudiarli del tutto. Percorso tipico e complesso anche considerando che
restano davvero in pochi quelli che, avendolo intrapreso secondo le proprie
caratteristiche e le proprie aspettative, lo dichiarano concluso. Il più delle
volte si ritiene che esso continui in qualche modo, anche quando si è arrivati
alla vera e propria riassegnazione, e che una parte di sé sia sempre in fase di
assestamento o elaborazione, senza considerare i momenti di autocoscienza in
cui è veramente difficile attribuire parole comuni al proprio sentire interno.
Per i transgender nient'affatto "fluidi" questo
percorso è vissuto come un tormento, passare in inadeguate stazioni alla
ricerca di sé è un atto doloroso. Ma è innegabile che molti transgender,
arrivati alla fine del proprio percorso, spesso anche chirurgicamente e
legalmente, si siano accorti che il loro nuovo genere non è quello adatto a definirli
in quanto l'identità tanto agognata è al di là del binarismo dei generi. Allo
stesso tempo molti genderqueer alla fine del loro percorso hanno trovato una
propria serena collocazione all'interno dello stesso binarismo che pensavano
non potesse definirli.
Nelle persone genderfluid, pur riconoscendo un percorso
articolato di ricerca della propria identità, raramente si ritrova lo stesso
senso opprimente di erroneità tipico degli individui transgender. Il loro più
grande dramma è il non essere riconosciuti, da molti neanche considerati, se
non addirittura accusati di finzione visto che la loro scelta non li porterà
probabilmente mai sotto un bisturi o nell'aula di un tribunale per la
riassegnazione del genere. Addirittura una delle accuse più inaspettate che
viene loro rivolta viene proprio dal mondo transgender che li accusa di creare
un "inutile scompiglio tra i generi" che ostacolerebbe l'accettazione
da parte della società dei diritti transgender.
Io credo che la società non sia vittima di "inutile
scompiglio tra i generi" dovuto alle persone genderfluid, credo piuttosto
faccia molta fatica a capire chiunque faccia un percorso personale verso la
propria identità di genere. Dividere il mondo in due categorie rende tutto più
facile, peccato che le persone facili non lo siano affatto. Ognuno percorre la
propria strada, ma va tenuto conto che per molti è sofferta, sceglie la
definizione che maggiormente si avvicina al proprio sentire interiore, ma non è
detto che sia immutabile o che riesca a descriverli pienamente, sceglie una
tipologia di pronomi e non costa proprio nulla rispettarli e non lasciarsi
ingannare dall'esteriorità solo perché quanto ne è al di sotto non risponde a
canoni immediatamente classificabili.
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