venerdì 16 marzo 2012

Binarismo & Fluidità

Due concetti importanti ruotano intorno alla scelta personale di genere: binarismo e fluidità.

Tutti coloro che si sono posti il problema di capire quale sia realmente il genere di appartenenza hanno individuato sicuramente i due opposti, maschile e femminile, ma molti sono concordi nell'affermare che non sono le sole opzioni disponibili, ma che, anzi, esse sono praticamente infinite, come porre i due estremi maschile/femminile su un segmento e considerare tutti gli infiniti punti che li uniscono. Considerando inoltre che c'è chi non si identifica né con un estremo, né con l'altro e neanche con le possibilità intermedie, quindi non solo è al di fuori del binarismo maschio/femmina, ma completamente al di la di queste definizioni non ritrovando in esse nulla che possa descrivere la loro identità di genere. Quindi possiamo affermare che le possibili identità di genere sono: maschile, femminile, un numero infinito di possibilità intermedie tra queste due opzioni, un numero infinito di possibilità al di la di esse.

Sulla modalità con la quale si sceglie e si mantiene la propria identità di genere poi, si innesta il concetto di "fluidità" che porta alla definizione di "genderfluid" per chi ci si riscontri. Secondo questo concetto i nostri generi sarebbero "fluidi" invece di essere rigidamente fissati. Nell'arco della vita si occuperanno diverse "stazioni" di genere spostandosi da una all'altra come normale evoluzione personale in quanto l'identità di genere non è considerata necessariamente stabile.

Sposando questi due concetti di binarismo (o non binarismo) e fluidità (o non fluidità) nascono alcuni equivoci. Chi considera l'identità di genere come fluida infatti finisce per attribuire questa caratteristica anche a persone transessuali "accusate" di poter tornare sui propri passi a piacimento, ignorando il percorso, il più delle volte sofferto e difficile, che hanno compiuto o stanno compiendo. Secondo questi individui niente affatto "fluidi" invece il concetto stesso di fluidità nega la lotta interna che si innesca con l'identità di genere e che è invece molto tipica delle persone transessuali, binarie e non, che si ritrovano in un vero e proprio conflitto di genere veicolato per lo più da pressioni esterne che svolgono un ruolo inibitorio sull'identità.

Purtroppo è molto complicato, per chi non si sia posto problemi riguardo al proprio genere, capire quale sia l'entità di questo conflitto interiore. Allo scopo di avvicinarci a tale concetto partiamo dall'inizio. Al concepimento a chiunque viene attribuito un sesso biologico che, all'atto della nascita, stabilisce il genere del nascituro, maschio/femmina (ci sono alcune eccezioni biologiche a questo concetto ma meriteranno un accurato discorso a parte). Lentamente, e il più delle volte attraverso il comportamento del resto del mondo nei confronti del bambino, si sviluppa l'identità di genere di questo individuo che è dipendente da come esso comincia a percepirsi. A seconda della discrepanza tra come esso si percepisce e come gli altri lo percepiscono (e quindi lo trattano) si lanciano i primi eventuali semi del conflitto di identità di genere. Se questa discrepanza è nulla o molto ridotta, va tutto al meglio, non c'è conflitto di nessun tipo e probabilmente l'individuo in questione non avrà nessun motivo che lo porterà ad interrogarsi sul proprio genere, vivrà serenamente senza neanche porsi il problema di cosa l'identità di genere sia. Se invece la discrepanza è ampia, se il genere "assegnato" non si adatta alla percezione di se stessi, allora si ricade in una situazione molto dolorosa della quale si prende sempre maggiore coscienza crescendo e non è detto che di pari passo si individuino le soluzioni a quello che innegabilmente viene percepito come un problema.

Molti definiscono questa fase come "cercare disperatamente di fermare un treno in corsa". Altri come il ritrovarsi in un corpo che non è il proprio, come se da qualche parte qualcuno avesse fatto un madornale errore. Non si hanno strumenti per capirsi, spesso si è ostacolati o sminuiti dai propri stessi familiari o dal proprio partner, si finisce per cumulare tante domande e nessuna risposta, soprattutto quando l'identità tanto cercata non ricade nel binarismo dei generi e quindi vengono a mancare anche le definizioni per lasciarsi capire. Questo e altro, analizzando le storie di diversi transgender se ne può avere prova, è il conflitto di identità di genere. E’ davvero una delle cose più complicate da comprendere per chi non ci sia passato, ma non si può assolutamente negare che di conflitto si tratti e come tale, può produrre una certa quantità di danni interiori.

Un tipico iter personale può vedere una persona nascere come donna ed essere allevata come tale, con pressioni sociali più o meno marcate a seconda del tipo di cultura che la circonda. Al liceo essa potrà cominciare a sentirsi come se non fosse esattamente una ragazza ma, mancando completamente tutte le conoscenze e gli strumenti per una corretta comprensione di questa inadeguatezza, è molto difficile che riesca ad identificarne le cause come dovute alla propria identità di genere. Nella prima maturità essa potrà definirsi come genderfluid, oscillando tra una definizione femminile e una genderqueer, finendo per non sentirsi affatto una donna ma continuando, per pace mentale, a tollerare che il resto del mondo si appelli a lei con pronomi femminili, almeno fino a che non sentirà che è arrivato il momento di ripudiarli del tutto. Percorso tipico e complesso anche considerando che restano davvero in pochi quelli che, avendolo intrapreso secondo le proprie caratteristiche e le proprie aspettative, lo dichiarano concluso. Il più delle volte si ritiene che esso continui in qualche modo, anche quando si è arrivati alla vera e propria riassegnazione, e che una parte di sé sia sempre in fase di assestamento o elaborazione, senza considerare i momenti di autocoscienza in cui è veramente difficile attribuire parole comuni al proprio sentire interno.

Per i transgender nient'affatto "fluidi" questo percorso è vissuto come un tormento, passare in inadeguate stazioni alla ricerca di sé è un atto doloroso. Ma è innegabile che molti transgender, arrivati alla fine del proprio percorso, spesso anche chirurgicamente e legalmente, si siano accorti che il loro nuovo genere non è quello adatto a definirli in quanto l'identità tanto agognata è al di là del binarismo dei generi. Allo stesso tempo molti genderqueer alla fine del loro percorso hanno trovato una propria serena collocazione all'interno dello stesso binarismo che pensavano non potesse definirli.

Nelle persone genderfluid, pur riconoscendo un percorso articolato di ricerca della propria identità, raramente si ritrova lo stesso senso opprimente di erroneità tipico degli individui transgender. Il loro più grande dramma è il non essere riconosciuti, da molti neanche considerati, se non addirittura accusati di finzione visto che la loro scelta non li porterà probabilmente mai sotto un bisturi o nell'aula di un tribunale per la riassegnazione del genere. Addirittura una delle accuse più inaspettate che viene loro rivolta viene proprio dal mondo transgender che li accusa di creare un "inutile scompiglio tra i generi" che ostacolerebbe l'accettazione da parte della società dei diritti transgender.

Io credo che la società non sia vittima di "inutile scompiglio tra i generi" dovuto alle persone genderfluid, credo piuttosto faccia molta fatica a capire chiunque faccia un percorso personale verso la propria identità di genere. Dividere il mondo in due categorie rende tutto più facile, peccato che le persone facili non lo siano affatto. Ognuno percorre la propria strada, ma va tenuto conto che per molti è sofferta, sceglie la definizione che maggiormente si avvicina al proprio sentire interiore, ma non è detto che sia immutabile o che riesca a descriverli pienamente, sceglie una tipologia di pronomi e non costa proprio nulla rispettarli e non lasciarsi ingannare dall'esteriorità solo perché quanto ne è al di sotto non risponde a canoni immediatamente classificabili.

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